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Indagine Ismea: gli allevatori fanno i conti con i cambiamenti climatici

Indagine Ismea: gli allevatori fanno i conti con i cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici influenzano anche le attività di allevamento. Lo dicono gli stessi agricoltori, i quali sottolineano anche che gli effetti negativi di quei cambiamenti si traducono nella pratica in un maggior esborso economico imprevisto. Ma non mancano le iniziative aziendali per contrastare quegli effetti. Una situazione messa in luce dall’indagine realizzata da Ismea, per capire qual è il grado di conoscenza delle aziende agricole rispetto alle tematiche climatiche e alle opportunità di finanziamento offerte dallo sviluppo rurale a livello regionale.

In particolare l’indagine, che si inserisce nell’ambito delle attività della Rete Rurale Nazionale programmate per il biennio 2017 – 2018 e dei servizi rivolti alle imprese per incentivare un’agricoltura a bassa emissione di carbonio, ha lo scopo di analizzare l'approccio delle aziende zootecniche italiane al tema del cambiamento climatico e comprendere quali siano i fattori incentivanti l’adozione di tecniche di mitigazione o adattamento e/o quali siano i limiti alla loro diffusione.

Complessivamente il campione ha coinvolto 770 aziende, di cui 514 quelle zootecniche. Ben il 95% degli intervistati ha dichiarato di aver osservato cambiamenti significativi nelle principali variabili climatiche. Non c’è dubbio, dunque, che le variazioni climatiche siano risultate chiaramente percepite dagli allevatori intervistati nel corso dell’ultimo decennio. La consapevolezza è molto elevata (9 allevatori su 10) in tutti i settori zootecnici indagati.

Negli ultimi 3-5 anni l’attività di allevamento è stata influenzata soprattutto dall’aumento repentino ed eccezionale delle temperature, come sottolineato da circa 9 imprenditori su 10, e dalla siccità e la conseguente scarsa disponibilità di acqua per l’irrigazione, che è stata indicata da quasi 8 aziende su 10. Piuttosto rilevante è stata anche la maggiore frequenza di malattie e attacchi parassitari riscontrata sia con riferimento alle colture che agli animali, come indicato da 7 allevatori su 10.

Gli effetti negativi del cambiamento climatico hanno un impatto non trascurabile sull’attività produttiva poiché, nella maggior parte dei casi, l’imprenditore deve far fronte ad un esborso economico imprevisto: l’incremento dei costi di produzione è, infatti, una circostanza menzionata da oltre i ¾ dei rispondenti (sommando le risposte “abbastanza” e “molto”) come conseguenza del verificarsi di eventi climatici avversi. Negli ultimi 3-5 anni sono state riscontrate anche difficoltà nello svolgimento delle ordinarie operazioni colturali (68,2% dei rispondenti) e la riduzione quali-quantitativa della produzione foraggera (66,3%) che ha avuto conseguenze sulla disponibilità di alimenti per il bestiame.

La maggioranza degli allevatori (2 su tre) ha adottato misure di contrasto per far fronte alle trasformazioni climatiche in atto. Chi non lo ha fatto ha spiegato che la scelta è stata dettata da questioni di carattere economico.

Il 76,6% degli intervistatori ritiene siano da introdurre in azienda misure finalizzate a migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse energetiche e idriche, il 56,6% le ha già attuate, mentre il 20,1% prevede di farlo. Per quanto riguarda la fonte dell’investimento, nel 72% dei casi l’imprenditore ha utilizzato risorse proprie per l’implementazione di azioni di mitigazione e/o adattamento. Quasi la metà delle imprese ha partecipato a bandi regionali o misure del PSR e in questo caso sono state principalmente indicati interventi della Misura 4 (Investimenti) o interventi della Misura 10 (Pagamenti agro-climatico ambientali). Minore è stato l’impiego di mutui e prestiti ordinari o agevolati (rispettivamente il 38,9% e il 21,3% dei casi), mentre è risultato piuttosto raro il ricorso a polizze assicurative (18,9%) e contratti di filiera (6,6%) e pressoché trascurabile il ricorso a fondi mutualistici (0,3%). Ne consegue che, trattandosi di risposte multiple, l’iniziativa è stata frequentemente realizzata attraverso una combinazione di strumenti finanziari.

Il report ha fatto luce anche sulle motivazioni che hanno spinto gli allevatori ad adottare quelle misure: nella maggioranza dei casi, l'obiettivo è stato quello di ridurre la vulnerabilità economica dell’attività produttiva e, quindi, il rischio di perdite connesse alla riduzione della produzione, sul fronte quantità e qualità. ILa seconda motivazione indicata (43,1% dei casi) è legata al miglioramento della propria posizione competitiva dell’immagine aziendale, soprattutto in considerazione dell’aumentata consapevolezza e conoscenza riguardo ai temi climatico-ambientali da parte dei consumatori che negli ultimi anni richiedono sempre maggiori garanzie in termini di sostenibilità, salubrità e benessere animale. Anche le leggi previste in materia hanno avuto il loro peso, anche se in misura ridotta: circa 3 allevatori su 10 hanno introdotto misure di contrasto ai cambiamenti climatici perché obbligati dalla normativa vigente.

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