Lavoratori vestiti a festa, con una camicia bianca indossata per l’occasione. In posa sulle due scale in mezzo a quello che è ancora un cantiere, affacciati al piano superiore e in piedi al piano terra, con badili e altri attrezzi in mano: sono i soci della Latteria sociale di Calvenzano, ritratti nel 1922, mentre lavorano per costruire la sede della cooperativa. La foto in bianco e nero che ha fissato e reso immortale questo storico momento campeggia nella sede della Latteria sociale Calvenzano, nell’omonimo paese in provincia di Bergamo, che si occupa della produzione di formaggi molli, in particolare taleggio. La loro storia parte da lì. “In questa foto c’è anche l’essenza della cooperazione – spiega Mario Fugazzola, l’ex direttore della cooperativa, che ancora dà una mano da queste parti - I soci non avevano i soldi per fornire un apporto economico alla costruzione della sede e così hanno deciso di mettere gratuitamente a disposizione le loro braccia, il loro lavoro”. Oggi la cooperativa, il cui presidente è Ernestino Gusmini, ha 21 soci, circa 5milioni il fatturato annuo. E raccoglie ogni anno 70mila quintali di latte, di cui il 95% viene trasformato in taleggio, quartirolo e altri formaggi molli.
Appena si varcano i cancelli della Latteria si accede allo spaccio sociale, aperto da più di 50 anni e recentemente ristrutturato e ampliato: qui vendono carni suine, salumi e formaggi di loro produzione e anche prodotti di altre cooperative. Tutto intorno si sviluppano le sale dedicate alla produzione dei formaggi molli. Il taleggio Dop è il fiore all’occhiello di questa cooperativa: “Qui produciamo il 10% di tutto il taleggio venduto a livello nazionale”, spiega il direttore marketing Alberto Cangelli.
Le criticità
Un prodotto però, che come altri del settore lattiero caseario, fa registrare un calo delle vendite a livello nazionale. Dall’azienda spiegano le criticità dell’attuale momento storico: “Il taleggio è un prodotto locale, si produce essenzialmente in Lombardia e si consuma in questa regione o nelle zone limitrofe. Inoltre è difficile da trattare, perché è un prodotto antico, che fa un po’ puzzare il frigo, anche se su questo stiamo da tempo lavorando”. In calo dei consumi in Italia è però bilanciato dall’export: “Sull’onda dell’Italian food si sta avvantaggiando anche il taleggio, che ha una sua fetta di esportazione. Dai certificati sanitari che ci richiedono i nostri clienti, sappiamo che il nostro taleggio va in tutto il mondo, dal Giappone all’Australia, passando per la Cina, l’Arabia, il Brazile, tutta l’America latina, fino agli Usa”.
La cooperativa, dal canto suo, ha deciso di non subire passivamente le dinamiche di mercato e anche per far fronte al calo delle vendite a livello nazionale, sta puntando sulla riconoscibilità del proprio marchio.
I progetti attuati
Un anno e mezzo fa lo stabilimento è stato ampliato con le sale dedicate alla stagionatura. Un passaggio che permette loro, ora, di chiudere il cerchio della produzione. “I nostri mercati di riferimento fino a poco tempo fa erano solo quelli degli stagionatori e degli incartatori di questi prodotti che sono qui in regione, non avendo la possibilità di vendere col nostro marchio. Adesso, avendo attivato da un anno la cella di stagionatura, abbiamo completato il ciclo produttivo in loco. E possiamo cominciare a guardarci intorno, in modo da avere una nostra clientela, che acquista il prodotto col nostro marchio”.
Attualmente gli unici prodotti che escono col marchio della cooperativa sono quelli diretti allo spaccio. Ma la Latteria si sta muovendo per arrivare al consumatore finale, almeno per il 50% dei prodotti entro la fine del prossimo anno.
Lavori in corso
L’obiettivo è proprio creare un mercato che faccia riferimento al loro marchio, in percentuali significative. “Il taleggio - sottolineano dall’azienda - è legato molto all’incartatore. Noi vorremmo uscire da questa spirale e avere un incarto conosciuto. Abbiamo tutti i numeri anche dal punto di vista etico, storico, per raggiungere questo risultato”.
Vanno in questa direzione anche gli incontri già avviati per arrivare alla tracciabilità dell’intera filiera e poi inserire un QrCode sul packaging del prodotto, da cui emergerà che il produttore del taleggio è la Latteria Sociale Calvenzano.
Lavori in corso anche per la costruzione di un sito internet, con una sezione ad hoc sarà riservata all’e-commerce e l’attivazione di una pagina Facebook, per arrivare a più persone possibili. Innovazione digitale e comunicazione, insomma, sono le parole chiave della Latteria, per un futuro che è già presente.Pure il Consorzio Taleggio sta lavorando molto sulla comunicazione, attraverso eventi, in particolare per diffondere l’idea che il prodotto può essere usato benissimo in diverse ricette, non solo come formaggio a sé stante.
La cooperativa sta ragionando inoltre sulle certificazioni, in particolare quelle legate al benessere animale e all’antibiotic free, ma la strada non è in discesa: “Dobbiamo valutare bene i costi e tutte le procedure. Dipende anche dal tipo di analisi richieste. Bisogna vedere se questa strada è economicamente sostenibile per le nostre aziende”.
E la sostenibilità ambientale? “Per noi è un prerequisito – sottolinea Cangelli - Abbiamo già un impianto fotovoltaico, fatto nel 2011. Il bilancio della Latteria è positivo, produciamo più energia di quella che consumiamo”.
COME SI PRODUCE IL TALEGGIO
Dall’arrivo del latte al taleggio pronto per essere venduto. Un tecnico della Latteria Sociale Calvenzano spiega tutta la produzione:
"Il latte viene raccolto nelle diverse aziende agricole e poi arriva al caseificio attraverso dei camion. Quando arriva viene messo nei tank e si effettua un test per verificare la presenza o meno di antibiotici. Una volta dato esito negativo, viene stoccato a temperatura di 3/4 gradi per il giorno successivo quando viene pastorizzato a 72 gradi per qualche secondo.
Dopo esser stato pastorizzato il latte viene raffreddato a temperatura di coagulazione che è intorno ai 25/30 gradi, poi messo nelle polivalenti dove vengono aggiunti prima fermenti lattici selezionati, colture da yogurt essenzialmente, come ammesso da disciplinare, e il caglio. Il latte viene poi fermato e inizia la coagulazione: da una consistenza liquida diventa gelatinoso e viene fatto il primo taglio. Da lì comincia l’affinatura vera e propria, cioè la riduzione della cagliata a dimensione di una nocciola. A questo punto la cagliata acquista una consistenza sempre più omogenea e viene scaricata su due tavoli spersori dove ci sono gli stampi. Poi inizia la fase di stufatura. Viene impresso sul taleggio il marchio consortile, nel nostro caso il marchio 22 che indica la Latteria sociale di Calvenzano e vengono fatti i rivoltamenti che hanno due scopi: omogeneizzare la cagliata e fare uscire il siero in eccesso. Durante questa fase vengono fatti ripetutamente controlli cedimetrici, in maniera tale da verificare la curva di acidità della lavorazione e che quindi i fermenti lattici stiano lavorando correttamente. Dopo circa 9/10 ore di stufatura avviene l’incassettatura del taleggio, il formaggio viene preso e messo in casse di legno. Una volta terminata questa fase, che dura un’ora, viene immesso nelle celle di raffreddamento, allo scopo di rassodare la forma e fermare l’attività fermentativa.
Il giorno successivo il taleggio riceve la salatura, quindi viene immesso in vasche di salamoia, di acqua e sale e ci rimane per circa 9 ore. Questa fase serve per dare sapore al formaggio e per eliminare l’umidità in eccesso perché c’è un effetto osmotico. Da qui in poi il taleggio viene diversificato: Una parte venduto fresco e una parte stagionato internamente. Da circa un anno e mezzo abbiamo implementato il caseificio con una stagionatura interna e quindi lo stagioniamo in casa. La stagionatura avviene per circa 35 giorni che è il termine minimo previsto dal disciplinare del taleggio, nel nostro caso andiamo anche a 42/50 giorni per dare ancora più gusto al nostro prodotto e per caratterizzarlo in maniera più evidente.
In queste settimane, ogni 3-4 giorni il taleggio viene preso e spazzolato con acqua e sale e ribaltato. Noi usiamo casse di plastica e tele monouso per un discorso igienico sanitario. Abbiamo anche deciso di tenere divisi i lotti che vengono lavorati separatamente, con un’attrezzatura delicata e questo per dare maggiori garanzie microbiologiche al cliente finale".