Ambiente

Sostenibilità, l'investimento che diventa un vantaggio competitivo

Sostenibilità, l'investimento che diventa un vantaggio competitivo

Lo studio di EY (nuovo nome della società di consulenza aziendale mondiale, Ernst & Young)

Sempre più aziende investono, letteralmente, sulla sostenibilità. Perché, è vero che essere sostenibili ha un costo, ma da più di un imprenditore su due è considerato un fattore di vantaggio competitivo, tanto che l’80% delle aziende ha sviluppato un piano ad hoc. Sono alcuni dei numeri che mette in luce la nuova edizione dello studio annuale “Seize the Change” di EY (nuovo nome della società di consulenza aziendale mondiale Ernst & Young), come riportato da un articolo uscito su Affari e Finanza,

Tra i principali risultati dello studio emerge che oltre l’80 per cento delle aziende quotate ha sviluppato un piano di sostenibilità, con un balzo in avanti di 32 punti percentuali rispetto al 2020, e il 47 per cento ha definito obiettivi e azioni di adattamento al cambiamento climatico (nel 2021 era il 39 per cento), anche attraverso l’uso di energie rinnovabili. 

«Secondo il nostro studio - afferma Massimo Antonelli, ceo di EY in Italia e coo di EY Europe West nell’articolo uscito su Affari e Finanza - finalmente le piccole e medie imprese viaggiano alla stesa velocità delle grandi nell’integrazione della sostenibilità del business». Non solo: «I dati della survey - afferma Riccardo Giovannini, EY Italy, Climate Change and Sustainability Leader – confermano che nel 62 per cento dei casi i piani di sostenibilità delle aziende sono integrati con i rispettivi piani industriali, e si assiste anche ad una netta accelerazione dell’impegno per contrastare e mitigare i cambiamenti climatici. Quanto più le aziende rafforzeranno il loro percorso verso la sostenibilità, intesa come driver determinante di trasformazione, quanto più saranno capaci di sostenere la competitività e crescita a venire».

E infatti le imprese sono anche disposte ad affrontare un certo impegno economico per affrontare il cambiamento. I costi degli investimenti in sostenibilità sono diventati più significativi perché non si tratta più di interventi di facciata, o minimi, ma di interventi radicali: «È come quando si passa dal chiamare l’idraulico o l’elettricista per piccole riparazioni casalinghe a una ristrutturazione completa», spiega.

Come si traduce all’atto pratico la sostenibilità? La “riduzione emissioni CO2” viene indicata come principale area di miglioramento su cui l’azienda è focalizzata dal 71% del campione. Seguono le azioni verso l’economia circolare (34%), a sostegno delle risorse umane (22%), quelle rivolte ai cambiamenti della governance e infine alla catena di fornitura. Dati che, osserva Giovannini, mostrano un po’ «un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto»: «Va molto di moda l’aspetto delle emissioni, è il dato più richiesto ovunque anche se i meccanismi con cui si diventa “net zero” non sono così perfetti, hanno ampi margini di miglioramento». E inoltre, spiega il leader per la sostenibilità di EY, «se lavori nel settore dell’acciaio sicuramente la CO2 ha un grande peso, ma se lavori in quello dei servizi sarebbe meglio focalizzarsi su altri aspetti della sostenibilità, a cominciare dalle azioni di impatto sociale, tese a diffondere una maggiore cultura ambientale».

In particolare nella classifica sorprende come sia al momento un po’ troppo marginale l’attenzione alla catena di fornitura, che ha un peso non indifferente poi nell’impatto ambientale della produzione. Se però si passa dall’analisi delle principali aree di miglioramento inserite nei piani aziendali per la sostenibilità a uno sguardo più ampio sulle azioni delle imprese, anche sulla catena di fornitura c’è una certa attenzione tant’è che un’azienda quotata su tre ha deciso di apportare modifiche alla propria catena di approvvigionamento negli ultimi due anni in un’ottica di maggiore responsabilità nella scelta dei fornitori e per venire incontro alle esigenze da parte dei clienti.

Anche l’economia circolare assorbe molta attenzione, ma qui si coglie una differenza legata al fatturato: solo il 23 per cento delle imprese con un fatturato inferiore ai 100 milioni di euro identifica obiettivi legati a questo aspetto, mentre per la fascia maggiore a 1000 milioni di euro si arriva al 63 per cento.

Piuttosto carente al momento l’attenzione legata agli impatti sociali e ai buoni rapporti con le comunità locali. E sotto questo aspetto anzi si registra un forte calo, dovuto probabilmente agli effetti di trascinamento del Covid, che ci hanno portato alla rarefazione dei rapporti sociali. Al contrario di altri aspetti legati alla sostenibilità però qui si registra una maggiore attenzione da parte delle piccole e medie aziende piuttosto che delle grandi. Secondo l’indagine EY si registra anche un rallentamento da parte delle aziende nell’uso di strumenti di finanza sostenibile, che utilizzano cioè criteri ambientali, sociali e di governance della sostenibilità (ESG).

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